Impianti condominiali

impianti condominiali

La Riforma del Condominio, attraverso la legge n. 220 del 11 dicembre 2012, ha intrapreso una rivisitazione completa e unica, rielaborando da cima a fondo numerosi articoli del codice civile, dall’art. 1117 all’art. 1138, insieme alle relative direttive di attuazione, segnando così una svolta epocale nel campo condominiale.

Questa riforma ha fornito ai proprietari delle unità immobiliari, agli amministratori condominiali e a tutti i condomini un insieme di linee guida e regole essenziali per migliorare l’utilizzo degli spazi, dei servizi comuni e delle infrastrutture.

L’articolo 1117 del codice civile, che è stato emendato dall’articolo 1 della legge n. 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013, nonostante non apporti rivoluzioni straordinarie, riflette in gran parte gli orientamenti emersi dalla giurisprudenza più recente, conferendo una definizione più articolata al concetto di “parti comuni” dell’edificio e ampliando l’elenco, che resta ancora di carattere esemplificativo e non esaustivo, come previsto nella versione precedente.

Questi cambiamenti tengono conto delle esigenze emerse negli anni recenti e dell’evoluzione delle nuove tecnologie che continuano a diffondersi.

Tra le innovazioni, ad esempio, vengono semplificati i procedimenti per distaccarsi dagli impianti centralizzati di riscaldamento o condizionamento, vengono modificate le regole per la costituzione dell’assemblea condominiale e si introducono nuovi criteri per determinare i quorum decisionali, differenziati in base alla natura degli interventi.

Gli impianti Condominiali

Come anticipato, in aggiunta alla formulazione originaria dell’articolo 1117 del codice civile, l’elenco delle parti comuni è ora esplicitamente arricchito includendo:

  • I pilastri e le travi portanti;
  • Le facciate degli edifici;
  • Le aree destinate a parcheggio e i sottotetti, che per le loro caratteristiche strutturali e funzionali sono adibiti all’uso comune;
  • Gli impianti di condizionamento dell’aria;
  • Gli impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualsiasi forma di flusso informativo, incluso quello satellitare o via cavo.

Nella nuova formulazione, gli impianti precedentemente menzionati come “acquedotti, fognature, canali di scarico, impianti idrici, gas, energia elettrica, riscaldamento e simili” vengono ora ricondotti con terminologia più moderna agli “impianti idrici e fognari e sistemi centralizzati di distribuzione e trasmissione per gas, energia elettrica, riscaldamento e condizionamento dell’aria“.

Infine, nella versione aggiornata, gli impianti inclusi nelle parti comuni vengono definiti in modo più ampio e dettagliato rispetto al testo precedente, indicando che gli impianti centralizzati sono considerati comuni fino al punto di accesso alle singole unità immobiliari, salvo le normative specifiche relative alle reti pubbliche.

L’ impianto idrico Condominiale

L’insieme delle tubature, in genere realizzate in acciaio zincato, è concepito per distribuire l’acqua alle singole utenze, formando l’impianto idrico. Questo impianto, ai sensi dell’articolo 1117 del codice civile, è di proprietà comune per le porzioni comprese tra il contatore dell’azienda erogatrice e le diramazioni che servono le proprietà esclusive.

Tipicamente costituito da una conduttura ad anello, posta al piano più basso dell’edificio, funge da collettore principale da cui si diramano le colonne montanti. Queste, risalendo verticalmente, raggiungono le diverse unità immobiliari ai piani superiori.

In cima a ciascuna colonna montante si trova una valvola “Jolly”, utile per far entrare l’aria nel caso in cui il flusso idrico sia interrotto.

L’ impianto idrico condominiale potrebbe essere dotato di autoclave

In alcune situazioni, l’impianto può essere dotato di autoclave per garantire una pressione sufficiente all’approvvigionamento idrico nei piani superiori, specialmente se la pressione dell’ente erogatore è ridotta o a causa della configurazione dell’edificio.

Questo impianto rientra anch’esso nelle proprietà comuni. La parte comune dell’impianto è gestita e mantenuta dal condominio, mentre la parte di impianto a proprietà esclusiva è a carico dei singoli condomini, i quali non possono richiedere all’amministratore di intervenire per la riparazione dei loro rubinetti o guasti che non derivano dalle tubazioni comuni.

Oneri di conservazione, ripartizione e manutenzione

Il condominio è tenuto a garantire l’efficienza dell’impianto idrico comune, essendo esso un servizio essenziale e irrinunciabile.

Le riparazioni necessarie all’impianto hanno carattere d’urgenza, il che legittima l’amministratore a procedere anche senza il previo consenso dell’assemblea condominiale (come previsto nell’ultimo comma dell’articolo 1135 del codice civile).

I costi relativi alla conservazione, riparazione e manutenzione dell’impianto sono normalmente divisi tra i condomini in proporzione alle quote millesimali di ciascuno.

Se tutte le unità immobiliari usufruiscono del servizio, altrimenti solo i condomini serviti parteciperanno alle spese in modo proporzionale. Questa prassi può variare se prevista da disposizioni specifiche nel regolamento di condominio.

Installazione del servizio nelle proprietà esclusive non attrezzate

In virtù di quanto previsto dall’articolo n. 1102 del Codice Civile, ciascun condomino è titolare del diritto, in ogni circostanza temporale, di procedere all’allacciamento all’impianto comune dell’approvvigionamento idrico nel caso in cui la sua porzione di proprietà esclusiva non sia dotata di tale servizio, ovvero di effettuare la creazione di nuovi collegamenti.

Tali operazioni di allacciamento comportano un onere finanziario a carico del condomino medesimo, e le opere devono essere realizzate in maniera tale da evitare qualsiasi pregiudizio all’integrità dell’impianto e delle parti comuni.

La realizzazione dell’allacciamento comporta, inevitabilmente, l’obbligo per il condomino esecutore di partecipare alle spese concernenti la manutenzione, l’esercizio e la conservazione dell’impianto, oltre al dovere di corrispondere la quota di consumo che gli compete, secondo i criteri adottati all’interno dell’edificio condominiale in questione.

Ripartizione delle spese secondo le quote millesimali

All’interno dell’ambito condominiale, si verifica una variazione nei consumi di acqua potabile da parte di ciascun condomino, la quale è direttamente correlata alla dimensione della proprietà esclusiva, al numero di abitanti e alla destinazione d’uso.

Queste disparità connotano la inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 1123, comma 1, del Codice Civile alla situazione specifica, mentre impone la rilevanza dei commi successivi dello stesso articolo nella prospettiva dell’ordinamento civile.

Si configura dunque come illegittima una deliberazione assembleare che approvi il criterio di ripartizione delle spese relative all’approvvigionamento idrico in virtù della suddivisione millesimale, indipendentemente dal fatto che le proprietà esclusive siano dotate o meno di contatori.

Ciò discende dal principio che la ripartizione delle spese concernenti l’acqua potabile deve avvenire in base ai reali consumi e non secondo criteri millesimali (si veda, a titolo esemplificativo, l’Appello di Roma, sentenza n. 2116 del 2.5.1959) oppure in base all’uso potenziale di ciascun utente (Cassazione, sentenza n. 1253 del 14.2.1985).

L’operato dell’amministratore che, in assenza di disposizioni regolamentari o di deliberazioni assembleari esplicite, proceda alla ripartizione delle spese secondo il sistema delle quote millesimali, è sottoposto a giudizio critico.

Tuttavia, occorre rilevare che non sono infrequenti i regolamenti condominiali di natura “contrattuale”, modificabili solamente con l’unanimità dei consensi.

In questi casi, tali regolamenti includono le spese per l’acqua potabile nell’elenco delle spese generali soggette a ripartizione sulla base della tabella millesimale. In tale contesto, l’amministratore è tenuto ad adeguarsi al regolamento in questione, inserendo le spese idriche nelle voci delle spese generali e ripartendole in base ai millesimi di comproprietà.

L’ amministratore può confidare che nessun condomino sollevi contestazioni; tuttavia, se si verificassero obiezioni, l’amministratore avrà l’unico ricorso di convocare un’assemblea con all’ordine del giorno la possibile “modifica del criterio di ripartizione delle spese di acqua potabile”.

Leggi anche: Codice Civile disposizioni di attuazione: dall’Art. 61 al 72

Distribuzione dei costi in base al Numero di Residenti

In contesti in cui manchino sia contatori individuali nelle unità abitative esclusive, sia normative regolamentari specifiche, si propende per l’adozione del criterio di ripartizione basato sul numero di abitanti.

Tale approccio costituisce sicuramente il più appropriato per determinare consumi presuntivi relativamente affidabili, seppur la sua attuazione pratica presenti alcune sfide, specialmente all’interno di condomìni caratterizzati da locali ad uso non residenziale.

Riguardo agli appartamenti, il calcolo del numero di abitanti deve essere effettuato indipendentemente dall’età dei residenti, poiché è ampiamente riconosciuto che i bambini comportino un consumo idrico almeno paragonabile a quello degli adulti.

In relazione ai locali adibiti ad uso non residenziale, il concetto stesso di “abitanti” risulta inadeguato per quantificare il consumo idrico. In molti casi, i titolari e i dipendenti di uffici o aziende vengono considerati come “abitanti”, senza considerare l’attività specifica svolta, che rappresenta l’unico fattore influente sull’entità del consumo.

Quando il consumo idrico non è legato al tipo di attività, l’approccio che considera le persone che lavorano nelle unità abitative esclusive come “abitanti” risulta errato in termini di sovrastima.

Tuttavia, tale metodo potrebbe sottostimare il consumo nei casi in cui l’acqua sia utilizzata anche per scopi aziendali, come ad esempio per lavanderie, bar, ristoranti e officine che utilizzano l’acqua per il raffreddamento delle macchine.

Nel contesto delle unità immobiliari ad uso non residenziale, nessun criterio può essere considerato valido se non si basa su una misurazione effettiva (tramite contatori) o su una valutazione “virtuale” (cioè legata all’uso presumibile effettivo) del numero di abitanti.

Nel caso in cui vengano sollevate obiezioni, si dovrà tener conto anche di elementi come vasche, piscine e giardini pensili a uso esclusivo, aggiungendo con una ragionevole stima il numero di “abitanti” delle unità abitative esclusive a cui tali elementi sono destinati, creando un parametro ulteriormente “virtuale” in tali circostanze.

Installazione autoclave condominiale

Le problematiche che sorgono all’interno dell’ambito condominiale riguardo all’installazione dell’autoclave, necessaria per risolvere le carenze di approvvigionamento idrico nei piani elevati, spesso si manifestano attraverso l’opposizione dei condomini dei piani inferiori, i quali non sono afflitti dal disagio, e la richiesta dei condomini dei piani superiori di una ripartizione delle spese equa, coinvolgendo l’intera comunità condominiale.

In questo contesto, è opportuno delimitare l’inquadramento normativo relativo alla maggioranza richiesta per l’approvazione della delibera concernente l’installazione dell’autoclave. La prospettiva di considerare tale intervento come un’innovazione è frequentemente avanzata da parte di coloro che si oppongono all’installazione stessa.

Tuttavia, tale argomentazione risulta priva di fondamento. L’autoclave non muta né la configurazione né la finalità dell’impianto idrico esistente, ma ne modifica le modalità di funzionamento.

Ammettendo, dunque, che l’installazione dell’autoclave costituisca una modifica della cosa comune piuttosto che un’innovazione, emergono due conseguenze di rilievo:

  1. In sede assembleare, per l’approvazione della delibera, non sarà necessario il raggiungimento di maggioranze speciali, ma saranno sufficienti le maggioranze ordinarie;
  2. Al di fuori dell’assemblea, senza richiedere il consenso dell’assemblea stessa o dell’amministratore, ciascun condomino o gruppo di condomini ha il diritto di procedere all’installazione dell’autoclave, assumendone la relativa spesa, a meno che non esista una specifica disposizione nel regolamento condominiale che vieti interventi sulle parti comuni senza l’ottenimento di uno dei predetti consensi.

L’ onere economico derivante dall’installazione dell’autoclave deve essere ripartito fra tutti i condomini in conformità alle rispettive quote millesimali, indipendentemente dall’utilità differenziata che l’opera comporta per ciascun condomino.

L’ installazione dell’autoclave rappresenta, infatti, un servizio di carattere essenziale in quanto mira a garantire la fornitura adeguata di acqua ai piani più elevati dell’edificio.

Di conseguenza, ogni condomino è tenuto a contribuire alle spese, anche se alcuni di essi non ne traggono immediato beneficio (cfr. Appello di Roma, sentenza n. 878 del 30.1.1962, Cassazione n. 7172 del 29.11.1963). La delibera adottata vincola anche coloro che esprimono dissenso.

Sicurezza degli impianti condominiali

All’interno delle tessiture architettoniche degli edifici condominiali, i sistemi idrosanitari e quelli dedicati al trasporto, trattamento, utilizzo e consumo dell’acqua si adagiano sotto l’ombrello vigile della legge 5 marzo 1990, n. 46, un riferimento imprescindibile per la sicurezza degli impianti.

A partire dal punto in cui l’acqua è consegnata dall’ente di distribuzione, questi sistemi sono soggetti a questa legge, che sovrintende alla loro incolumità.

Per l’erezione, la trasformazione o l’espansione di tali impianti, il rispetto della normativa richiede l’intermediazione di imprese o aziende autorizzate.

Queste entità, al termine dei lavori, sono tenute a fornire una dichiarazione di conformità, attestando che gli impianti sono stati realizzati nel pieno rispetto delle normative legali, un gesto che costituisce il sigillo finale di un’opera svolta a regola d’arte.

L’ impianto di condizionamento

Il concetto di impianto di condizionamento abbraccia un mondo di controllo e comfort ambientale, attingendo ad una combinazione di parametri cruciali per il benessere.

Oltre alla temperatura e all’umidità dell’aria, si estende alla purezza di questa, una triade vitale che influenza l’equilibrio tra gli spazi. Questi impianti, che governano la funzione dell’aria condizionata, si dividono in due categorie distinte:

  • Centralizzati
  • Singoli

Gli aspetti principali di questo complesso di tecnologia richiedono il presidio delle seguenti attività:

  • Un controllo accurato delle condizioni ambientali;
  • Un’assenza totale di ingombri come tubi, cavi e filtri negli spazi condizionati;
  • La capacità di concentrare i componenti chiave in una centrale di trattamento dell’aria;
  • La flessibilità di utilizzare recuperatori di calore tra l’aria esterna e quella in uscita.

Tuttavia, gli impianti che riguadano l’impianto di condizionamento, non sono privi di contraddizioni in alcuni casi, tra cui:

  • Un’efficienza energetica a volte modesta, soprattutto nei casi in cui il post-riscaldamento è abbondante;
  • L’ingombro e il costo dei canali dell’aria;
  • La necessità di un bilanciamento meticoloso della rete di canali.

Quando si parla di impianti di climatizzazione guidati da fluidi liquidi, gassosi o di qualsiasi altro tipo, scatta l’adeguamento normativo e il rispetto delle leggi.

La Legge 5 marzo 1990, n. 46, in tema di sicurezza degli impianti, si trasforma in una puntuale linea guida da seguire. In virtù di ciò, ogni attività di l’installazione, trasformazione o ampliamento di questi impianti richiede l’intervento di imprese o ditte autorizzate, come operatori esperti che svolgono le attività e opere di installazione richieste con maestria. Inizia con la creazione di un progetto obbligatorio, un’anticipazione delle operazioni e attività da mettere in campo per eseguire l’impianto alla regola dell’arte.

Invece, gli aspetti più semplici, come la manutenzione di routine, possono svolgersi a margine del perimetro di tale progetto.

Così, la storia di questi impianti si svela come un mix di equilibrio tecnologico, costellato di adempimenti e procedure operative, scandito dalle leggi e guidato dalla competenza professionale.

Ogni condizionatore è accompagnato da un termostato, una sorta di “maestro d’orchestra” che permette di comporre la temperatura desiderata e di orchestrare accensioni e spegnimenti programmati nel corso della giornata.

Oltre alla sua nota di raffreddamento, l’opera dei sistemi di condizionamento comprende anche il riscaldamento dell’aria e, ancor più significativamente, la sua deumidificazione.

Anche se la sinfonia della deumidificazione può essere eseguita con note chimiche, tramite sostanze assorbenti, il movimento predominante nella danza del condizionamento dell’aria è la condensazione del vapore acqueo su superfici fredde.

Questo movimento è scelto perché spesso nelle esecuzioni pratiche emerge l’esigenza di congiungere il raffreddamento con la deumidificazione.

L’installazione dei condizionatori d’aria è una tendenza di data recente, e i costi energetici insieme alla sfida di individuare i consumi specifici di ciascun appartamento suggeriscono con cautela di evitare orchestrazioni centralizzate.

Tuttavia, nei casi in cui si compongono sinfonie di condizionamento condominiale, gli stessi principi e le medesime leggi che governano l’armonia dei sistemi di riscaldamento centralizzato vengono applicati, con un’unica variante: il criterio più appropriato per suddividere i consumi dovrebbe abbracciare la cubatura, una scelta più in armonia con la natura stessa degli spazi.

I sistemi individuali, che stanno diventando sempre più diffusi e presenti, abbracciano due sonorità distintive:

  • Fissi (incastonati in parete, pavimento o soffitto);
  • Trasportabili: dall’aspetto compatto (un singolo blocco) o separato (split) con due unità, di cui una, rumorosa, posizionata all’esterno.

Nel caso in cui più spazi richiedano un’atmosfera temperata, è chiaro che la soluzione dell’impianto fisso è quella da tenere in considerazione.

Se invece l’aspirazione è quella di armonizzare anche il riscaldamento attraverso il condizionatore, i modelli split con pompa di calore si stagliano come la melodia giusta.

Questi modelli, a differenza di quelli che utilizzano la resistenza elettrica, intonano note di consumo notevolmente inferiori.

L’architettura di questo sistema di condizionamento è modellata in armonia con l’ambiente da rendere confortevole.

Infatti, un condizionatore con grande potenza potrebbe non riuscire a sciogliere l’umidità nell’aria, mentre un’unità dal potere modesto potrebbe finire per suonare costantemente al massimo, rischiando un’armonia sbagliata e, peggio ancora, sprechi energetici dissonanti.

Per l’installazione, e ancor di più per la scelta più consona alle esigenze personali, è saggezza affidarsi a tecnici e aziende con un’esperienza ben consolidata, capaci di dirigere questa sinfonia di comfort con maestria.

L’ impianto elettrico condominiale

L’impianto elettrico condominiale costituisce un fondamentale sistema di distribuzione dell’energia destinato all’illuminazione delle parti comuni ed alla funzionalità degli impianti di proprietà collettiva, quali l’ascensore, il generatore termico, l’autoclave, l’intercomunicante, l’apriporta, la centralina televisiva e altri accessori o dispositivi di sicurezza attinenti.

I conduttori per il trasporto dell’energia elettrica devono essere di adeguata sezione, congrua alla capacità di assorbimento richiesta dagli impianti, realizzati con cavo di rame rivestito da materiale isolante e alloggiati all’interno di un condotto isolante, ignifugo ed autoestinguente, con possibilità, in circostanze specifiche, di ricorso a condutture di acciaio.

Ai sensi dell’articolo 1117 del codice civile, l’impianto elettrico è da considerarsi una struttura comune a tutti i condomini, salvo che un titolo contrario ne disponga.

L’impianto elettrico riveste attualmente un’importanza cruciale, essendo oggetto di regolamentazione sia dalla recente legge 5 marzo 1990, n. 46, “Norme sulla sicurezza degli impianti”, sia dal Decreto del Presidente della Repubblica 6 dicembre 1991, n. 47, che ne delinea l’attuazione.

L’evoluzione più recente di questo contesto normativo è rappresentata dal Decreto Ministeriale n. 37/2008, il quale costituisce una prosecuzione della Legge 46/90.

Entrambi si prefiggono di conformare gli impianti tecnici in modo da garantire la sicurezza delle persone, soprattutto negli ambienti domestici. Il termine ultimo per la verifica e la completa realizzazione degli impianti elettrici è stato il 31 dicembre 1998, in ottemperanza all’articolo 31 della legge 7 agosto 1997, n. 266.

Tra le diverse norme che si sono susseguite nel tempo, alcune mantengono una rilevanza specifica.

La prima, anche se in origine rivolta alla tutela degli ambienti destinati al lavoro subordinato, è rappresentata dal Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547. L’articolo 7 di tale Decreto può essere correlato ad alcuni principi della legge n. 46/90, specialmente laddove vieta la realizzazione, la commercializzazione o la locazione di apparecchiature e l’installazione di impianti che non rispettino gli standard legislativi.

In una fase di ulteriore evoluzione giuridica, la legge n. 186 del 1° marzo 1968 ha prescritto l’imperativo di sicurezza afferente a tutti gli impianti elettrici, indistintamente dalla loro ubicazione, e ha delineato le direttive emanate dal Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) quale strumento potenziale per la realizzazione degli impianti secondo i canoni della “regola d’arte”.

La terza pietra angolare normativa da tenere diligentemente in considerazione è rappresentata dalla legge n. 791 del 18 ottobre 1977, la quale riguarda l’implementazione delle direttive comunitarie concernenti le garanzie di sicurezza riguardo a specifici componenti elettrici.

In tale contesto legislativo, è stata contemplata la facoltà di escludere dal mercato i prodotti giudicati non conformi agli standard di sicurezza da parte di un organo di vigilanza, appositamente designato dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato.

Inoltre, va rilevato che la legge n. 833 del 23 dicembre 1978 ha altresì stabilito che l’ambiente civile debba essere sottoposto a costante monitoraggio, prevedendo altresì l’obbligo che i relativi impianti elettrici siano provvisti di requisiti minimi di sicurezza.

Tuttavia, considerata l’assenza di mezzi operativi idonei per condurre ispezioni effettive ai sensi delle leggi summenzionate, l’intento sotteso alla legge n. 46 del 1990 è stato quello di rimediare a tutte le lacune emerse nelle precedenti disposizioni normative, espandendo il concetto di “regola d’arte” dei componenti dell’impianto in oggetto a comprendere altresì la sicurezza dell’intero impianto stesso.

Tale impianto, a sua volta, deve essere progettato, installato e verificato a norma della “regola d’arte” nell’ambito della sua compiutezza tecnologica. La legge n. 46/90 risguarda in maniera specifica l’aspetto della sicurezza degli impianti elettrici.

Ambito di Applicazione e Requisiti Normativi degli Impianti Elettrici

Le disposizioni di cui trattasi si applicano ai sensi della legge, a tutti gli impianti elettrici insiti negli edifici adibiti a finalità civili, inclusi quelli destinati all’uso residenziale o di attività professionali, e ulteriormente estesi agli immobili dediti a compiti industriali, di intermediazione di beni o servizi, e persino agli spazi di culto.

Pertanto, l’ambito di applicazione di questa normativa è interconnesso con l’installazione di impianti elettrici presenti all’interno di qualsiasi tipo di immobile.

Tuttavia, è opportuno notare che la sfera di applicazione di tale normativa non comprende gli impianti elettrici ubicati a monte dei contatori di utenza, di competenza delle imprese erogatrici di energia elettrica, né coinvolge gli impianti elettrici esterni e non connessi con le installazioni interne.

In questo contesto, l’espressione “impianti di utilizzazione di energia elettrica” si riferisce ai circuiti di alimentazione degli apparecchi utilizzatori e delle prese di corrente, ad eccezione delle apparecchiature elettriche inerenti alle macchine e ai dispositivi elettrici in generale.

Con l’emanazione dell’articolo 7 della normativa in questione, vengono imposti requisiti fondamentali per tutti gli impianti elettrici, tra cui la messa a terra e l’utilizzo di interruttori differenziali ad alta sensibilità o di sistemi di protezione equipollenti. L’intervallo di corrente differenziale nominale ammesso per tali interruttori è inferiore o uguale a 1 ampere.

La messa a terra, invece, assicura protezione sia contro il contatto diretto (ad esempio, toccare fili sotto tensione) che contro il contatto indiretto (ovvero, interagire con una macchina che per qualche ragione è connessa a un cavo non isolato).

La concretizzazione degli impianti in accordo con tali principi normativi richiede il rispetto delle direttive definite dalla norma CEI 64-8, la quale è focalizzata sugli impianti elettrici utilizzatori a tensione nominale non superiore a 1000 Volt.

Tali impianti devono essere realizzati esclusivamente da imprese debitamente abilitate e iscritte alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (C.C.I.A.A.) o all’Albo degli Artigiani. Tali imprese devono vantare requisiti tecnico-professionali specifici.

Vale inoltre la pena di notare che, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 46/90, la compilazione di un progetto da parte di professionisti iscritti all’apposito albo diventa un requisito obbligatorio per l’installazione, la modifica e l’ampliamento degli impianti in questione.

Per gli impianti elettrici civili, tale progetto è obbligatorio qualora la potenza impegnata superi 6 Kw, mentre, nel caso di singole unità abitative destinate all’uso domestico, è obbligatorio qualora la superficie superi 400 mq.

Impianti Elettrici e Norme Condominiali: Aspetti Regolamentari e Compiti dell’Amministratore

Nel contesto condominiale, si compendiano le sfere relative alle parti comuni, quali l’ascensore, l’autoclave, l’illuminazione, nonché la centrale termica, per i quali, in genere, la potenza impegnata supera la soglia di 6 Kw.

Per gli impianti preesistenti all’entrata in vigore della legge n. 49/90, l’amministratore è tenuto a verificare scrupolosamente che gli stessi soddisfino i requisiti di conformità previsti dal regolamento di attuazione.

Allo scopo di garantire l’aderenza ai dettami normativi, l’amministratore è autorizzato a collaborare con professionisti o esperti del settore, ai quali può richiedere un “attestato di adeguamento” agli standard legislativi oppure, quantomeno, un delineamento delle misure da adottare per adeguare gli impianti individuali.

É da tenere a mente, tuttavia, che l’amministratore è responsabile di interventi esclusivamente sulle componenti comuni degli impianti, escludendo qualsivoglia intervento sulle variazioni interne concernenti singole unità immobiliari di esclusiva proprietà.

È opportuno segnalare che, spesso, si assiste a una errata equiparazione tra la messa a terra e il collegamento dell’impianto elettrico alle condotte dell’acqua.

In merito, l’amministratore è tenuto a informare ogni condomino circa i rischi intrinseci a tale operazione, ovverosia la possibile propagazione di corrente nelle altre unità abitative, con conseguenti pericoli di folgorazione anche attraverso contatto indiretto, secondo l’accezione precedentemente delineata.

L’ Ascensore Condominiale

Regime di Proprietà e Ripartizione delle Spese dell’Impianto di Ascensore nel Contesto Condominiale: Aspetti Giuridici e Applicativi

Ai sensi dell’articolo 1117, comma 3, del Codice Civile, l’impianto di ascensore presente nell’edificio condominiale è considerato appartenere a tutti i condomini in quanto concorre a servire l’uso e il godimento collettivo.

Tale presunzione di comunione può essere esclusa unicamente dalla presenza di una disposizione contraria che attribuisca la proprietà di tale strumento a una limitata parte dei condomini, con applicazione pertinente nel caso in cui l’impianto di elevazione sia stato installato concomitantemente alla costruzione dell’edificio.

In un diverso contesto, ovvero in presenza di un’installazione successiva, la titolarità dell’ascensore spetta all’intero corpo condominiale o unicamente a quei condomini che hanno promosso l’implementazione del nuovo apparato.

È risaputo che l’impianto di ascensore installato durante la fase edilizia dell’edificio, o comunque prima dell’emergere del regime condominiale (ossia prima dell’alienazione delle singole unità immobiliari), è soggetto a una presunzione di proprietà comune ai sensi dell’articolo 1117 del Codice Civile (con riferimento agli articoli 1117, comma 3, e 1124, comma 1, alla luce delle recenti riforme).

La proprietà dell’ascensore realizzato successivamente alla costituzione del condominio segue le norme riguardanti le innovazioni, come dettato dagli articoli 1120 e 1121 del Codice Civile, ed è quindi legittimata da una specifica delibera assembleare di approvazione dell’opera e di ripartizione delle spese, a beneficio esclusivo di coloro che hanno promosso l’impianto e sostenuto integralmente le relative spese.

In pratica, un ascensore che, benché accessibile a tutti, sia stato finanziato da uno solo dei condomini, rimane sotto la proprietà esclusiva di quest’ultimo fino a quando gli altri non richiedano di partecipare ai benefici dell’opera, contribuendo in pari misura alle spese di costruzione e manutenzione.

Nel caso in cui l’installazione dell’ascensore avvenga successivamente alla fase edilizia dell’edificio, ma con il consenso unanime dei condomini, l’impianto si configura come bene di proprietà comune tra tutti i partecipanti, in proporzione al valore delle unità immobiliari esclusive o delle porzioni di piano.

In questo scenario, la distribuzione delle spese inerenti all’ascensore resta sottoposta alle direttive stabilite dagli articoli 1124 e 1123 del Codice Civile.

In dettaglio, le parti comuni includono primariamente i c.d. “volumi tecnici,” compresi i vani destinati ad ospitare gli impianti di ascensore, nonché l’area di base della corsa dell’ascensore stesso.

In aggiunta, rientrano tra le parti comuni tutte le componenti mobili costituenti l’impianto di ascensore (confermato dalla Sentenza della Cassazione n. 654 del 27 febbraio 1976).

Responsabilità dell’ amministratore nella gestione dell’ ascensore condominiale

I Complessi Doveri dell’Amministratore di Condominio in Materia di Sicurezza e Gestione degli Impianti nell’Edificio Condominiale

Nell’ambito del proprio mandato, l’amministratore di condominio è tenuto a vigilare sul rispetto delle normative tecniche e giuridiche concernenti la sicurezza di tutti gli impianti presenti nell’edificio condominiale.

Questo dovere si presenta come un’ardua e complessa responsabilità, essendo che il Legislatore, nel corso degli ultimi anni, ha introdotto rapidamente aggiornamenti alle direttive in questione.

Tali disposizioni non sono solamente a carattere nazionale, ma traggono origine anche da direttive europee, comportando un significativo aumento di responsabilità civili e penali per l’amministratore, specialmente nei settori manutentivi e di gestione degli impianti nei contesti condominiali.

In considerazione delle norme recentemente emanate, l’amministratore è chiamato non solo a monitorare costantemente l’adeguamento degli impianti comuni alle norme di sicurezza, ma anche ad attuare in modo efficace tutte le disposizioni legislative, incluse verifiche periodiche e la comunicazione agli enti competenti in merito all’attivazione degli ascensori.

Inoltre, è onere dell’amministratore garantire la disponibilità del libretto durante tali verifiche. Il corretto funzionamento dell’ascensore è tutelato da verifiche periodiche che sono regolamentate dalla legislazione vigente, e l’amministratore è direttamente responsabile di tali procedure nel contesto condominiale.

Sarà quindi compito esclusivo dell’amministratore inoltrare richieste per le verifiche periodiche o straordinarie, mentre le spese correlate dovranno essere suddivise tra i condomini in proporzione alle quote di proprietà. Questi oneri finanziari sono legati all’integrità del bene condominiale.

Importante sottolineare che il Legislatore è già intervenuto concretamente in questo settore tramite la modifica introdotta dal D.M. sviluppo economico del 23 luglio 2009.

Questa modifica riguarda le misure e gli interventi volti all’adeguamento e al progressivo miglioramento della sicurezza degli ascensori installati e attivi in edifici e costruzioni preesistenti alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 162/1999.

Questo quadro regolamentare è presente nel T.U. sulla sicurezza, ovvero il Decreto Legislativo n. 81/2008.

Questa evoluzione normativa ha riacceso l’attenzione sulla tematica della sicurezza e delle responsabilità a essa correlate, che ricadono sull’amministratore di condominio.

Questo argomento risulta di particolare interesse e attualità, generando spunti di riflessione e stimolando un approfondimento del dibattito, soprattutto in relazione alle responsabilità condominiali alla luce del T.U. sulla sicurezza del lavoro, regolamentato appunto dal Decreto Legislativo n. 81/2008.

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